Spesso i bambini si chiedono “a che cosa servono i compiti?” e a questa domanda noi adulti dobbiamo rispondere avendo ben chiari gli obiettivi della didattica dopo-scolastica. È utile quindi ricordare che essi forniscono all’alunno tempi e spazi di riflessione personale, potenziano le competenze apprese o in via di sviluppo e portano a compimento il processo di apprendimento iniziato in classe. Permettono inoltre ai bambini di sviluppare la fiducia in se stessi, soprattutto rispetto alla capacità di crescere e di migliorare, e di valorizzare il proprio senso di responsabilità. Infatti solo contestualmente alla piena presa di coscienza del valore dei compiti si può trasmettere questa consapevolezza anche ai bambini, in modo da sostenerli nel farli sia estrinsecamente (è necessario fare i compiti altrimenti si viene ripresi dalla maestra), in modo da responsabilizzarli, esponendoli al principio di reazione, sia intrinsecamente (è bello fare i compiti per mettersi in gioco, consolidare o allenare un’abilità) in modo da accrescere la loro autoefficacia percepita. Inoltre forti di queste cognizioni, i genitori possono sviluppare maggiore consapevolezza rispetto al proprio ruolo. Ruolo che se dobbiamo circoscrivere a quello di un’unica figura potremmo paragonarlo ad un allenatore. “Allenatore” che dovrebbe favorire la crescita del proprio “atleta”, attivarsi per renderlo attivo, curioso e motivato (più un bambino è stimolato ad apprendere e più apprende) e creare con lui un’interazione positiva così da porsi come presenza interessata. In psicologia questa figura di allenatore potrebbe essere assimilabile allo “scaffolding” bruneriano: un sostegno intellettuale ed organizzativo ma anche emotivo, cognitivo e metacognitivo.

Da questo modo di intendere il ruolo del genitore conseguono tre atteggiamenti da cui stare in guardia e su cui è importante porre luce: essere eccessivamente presenti, cercare di “sviluppare competenze al posto di” (quando i genitori tendono a sostituirsi all’alunno nel fare) e nascondere le difficoltà del bambino per paura di farlo sfigurare. Ricordiamoci infatti che lo spazio dei compiti è quello in cui creare e condividere obiettivi primariamente educativi.

La domanda che abbiamo citato in apertura e che ci viene talvolta riportata dai genitori è spesso seguita dalla richiesta di alcuni suggerimenti pratici affinché il momento dei compiti sia un “buon momento”. Ci occuperemo quindi, adesso, di offrire alcune strategie riguardanti gli aspetti organizzativi, ed in particolare di quella preparazione materiale e mentale del bambino che ogni adulto può promuovere.

Quando parliamo di organizzazione materiale intendiamo la gestione dell’ambiente, degli strumenti e del tempo legati allo svolgimento dei compiti a casa. L’organizzazione di questi elementi va inizialmente insegnata, gradualmente promossa e costantemente sostenuta, finché crescendo e maturando il bambino non sarà completamente autonomo anche sotto questi aspetti.

Prima di tutto la stanza all’interno della quale i bambino fa i compiti dovrebbe essere ordinata e pensata come uno spazio che favorisca la concentrazione dell’alunno. Un ambiente disordinato e ricco di stimoli (a livello visivo ma anche uditivo) può infatti ostacolare la capacità di organizzazione di alcuni bambini, scontrandosi con l’ordine mentale di cui potrebbero aver bisogno. Inoltre dovrebbero essere evitate le interferenze che possono rompere il clima di lavoro creatosi: ritornare attenti è più difficile che restare attenti.

Il materiale, come il diario e i quaderni, non solo sono essenziali, come è ovvio, al bambino per l’attività dopo-scolastica ma permettono anche all’adulto di individuare quale metodo o quale strategia il docente tende a far applicare ai propri allievi per la realizzazione del compito: queste informazioni sono molto importanti se non si vuole rischiare di interferire con il percorso formativo scelto dall’insegnante sia a livello di contenuto che di metodologia.

La definizione poi di un piano di lavoro risponde all’esigenza di definire quando un bambino dovrebbe svolgere i compiti. Genitori e figli dopo aver preso visione delle attività e delle relative scadenze per l’esecuzione dovranno prima di tutto ordinarle e definire le priorità. In tal senso, non è grazie alla corrispondenza tra le scale di priorità del genitore e del bambino e alla loro armonia che l’alunno crescerà nella propria formazione scolastica e personale, ma viceversa lo farà attraverso il confronto delle differenze percepibili tra i propri valori e quelli di cui si fanno portavoce gli adulti. Suggerendo infatti all’alunno priorità diverse stimoliamo il bambino a riflettere e a maturare. In generale, un buon criterio di organizzazione temporale potrebbe basarsi sull’individuare un tempo minimo e uno massimo giornaliero da dedicare allo svolgimento dei compiti, facendo in modo di avere costantemente sott’occhio le attività di volta in volta assegnate dall’insegnante. Chiaramente l’organizzazione dovrà tenere conto di alcune variabili che incidono sull’esecuzione: l’alternanza tra attività semplici ed attività complesse, la motivazione dell’alunno e la possibilità di fare altro terminato il lavoro assegnato.

Ricordiamoci a questo punto che è fondamentale non modificare le buone abitudini una volta fissate.

Nel riferirci all’organizzazione mentale vorremmo fornire ai genitori alcune indicazioni su come gli alunni si pongono rispetto ai compiti: in che modo attese, motivazioni e atmosfere entrano in gioco?

Le aspettative che influenzano lo svolgimento delle attività non riguardano solo quelle del bambino e dell’insegnante, ma anche quelle dei genitori. Un genitore dovrebbe manifestare un atteggiamento di fiducia e ottimismo, aspettandosi molto ma non troppo, contribuendo così alla creazione di un clima positivo che sosterrà l’alunno nello svolgimento delle proprie attività e favorendo il raggiungimento di risultati soddisfacenti. Aspettative non reali infatti rischiano di influenzare negativamente sia la motivazione che il clima, variabili importantissime.

In termini motivazionali è opportuno fare una distinzione tra motivazioni intrinseche ed estrinseche: le prime sono motivazioni che vengono dall’interno di una persona, le seconde invece ne sono esterne. Frequentemente i genitori fanno leva esclusivamente sulle motivazioni estrinseche (premi o punizioni), ma queste escludono la possibilità di sviluppo di quelle intrinseche. Più corretto infatti sarebbe l’approccio che fa leva sui vantaggi specifici del fare i compiti, dando a questi valori in sé, aiutando il bambino nel provare soddisfazione personale per la risoluzione di un problema o il miglioramento di un’abilità esercitata. I genitori dovrebbero incoraggiare i figli in modo da far provare loro gioia per l’uso corretto di quelle capacità intellettuali che permetteranno loro di sentirsi capaci e competenti, nella scuola e nella vita.

In ultimo, l’atmosfera ideale per lo svolgimento delle attività assegnate dall’insegnante dovrebbe essere caratterizzata da una certa serenità. Ciò significa evitare atteggiamenti di noncuranza così come di eccessiva severità. Il genitore dovrebbe aiutare il bambino a predisporsi bene nei confronti delle attività che dovrà svolgere, facendogliene percepire l’importanza ma anche la tranquillità che le caratterizza, ricordandogli la possibilità di sbagliare. Abituiamo infatti i bambini a tollerare lo sbaglio: c’è infatti un tempo per imparare che contempla per definizione la caduta in errore. Insegniamogli che solo chi non fa non sbaglia. 

 

Immaginate quindi ogni volta che sedete di fianco ai vostri figli di essere l’allenatore di un atleta. Quale vi sembra il migliore? Quello che non ha fiducia in lui e che gli ricorda tutti gli ostacoli che rischia di affrontare o quello che lo tranquillizza e gli rammenta quali strategie utilizzare e come affrontare il percorso, spronandolo a fare del suo meglio?

Scegliete quale allenatore essere per vostro figlio, sulla base di ciò che è importante per voi.

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